Benvenuti nell’epoca dell’ambiguità digitale: quel territorio relazionale dove nessuno dice chiaramente cosa prova, ma tutti fanno qualcosa che assomiglia a un messaggio.
Solo che non lo è davvero.
Un giorno sparisce.
Il giorno dopo guarda ogni tua storia.
Poi, di nuovo, il silenzio.
E poi… un like. Uno solo. Messo quasi per sbaglio.
E tu ti chiedi:
“Vuole dirmi qualcosa? O mi sto solo illudendo?”
Quando il silenzio non è assenza
Un tempo, l’assenza era inequivocabile.
Non ti scrivevano, non c’erano. Punto.
Oggi no.
Oggi ci sono persone che ti seguono senza parlarti.
Osservano ogni tua storia, mettono un like ogni tanto, reagiscono con un’emoji… ma non si fanno mai realmente presenti.
Non sono davvero lì, ma nemmeno del tutto assenti.
E questa è la trappola perfetta.
Piccoli gesti, grandi effetti
Un like. Una visualizzazione. Una reaction.
Sono azioni minime, quasi insignificanti. Eppure, nel nostro cervello accendono qualcosa.
Perché la mente umana non sopporta l’ambiguità. Ha bisogno di capire. Ha bisogno di senso.
Così comincia a riempire i vuoti.
“Forse ci sta ripensando.”
“Forse ha paura ma gli importa ancora.”
“Forse…”
È in quel “forse” che nasce la dipendenza.
In psicologia, questo meccanismo ha un nome preciso: rinforzo intermittente.
Un tipo di gratificazione che arriva in modo imprevedibile, proprio come nelle slot machine.
Non sai quando, ma ogni tanto succede qualcosa.
E questo ti tiene lì. In attesa.
A sperare.
A consumarti.
Narcisismo? Forse. Ma anche insicurezza
Chi si comporta così non è sempre un manipolatore calcolatore.
A volte sì: tiene l’altro “acceso” per puro ego, per sentirsi desiderato.
Altre volte è qualcosa di più sottile. Una forma di insicurezza, di paura dell’intimità, di immaturità emotiva.
Non vogliono farsi sentire davvero, ma neanche essere dimenticati.
Vogliono mantenere un legame… senza assumersene la responsabilità.
È una forma di narcisismo relazionale. Ma può anche essere semplice confusione.
Per chi lo subisce, però, il risultato è lo stesso.
L’impatto su chi aspetta
Chi riceve questi segnali resta bloccato.
Non può andare avanti, ma nemmeno tornare indietro.
È un limbo affettivo. Un loop.
E spesso, a restarne intrappolate, sono persone con un attaccamento ansioso:
quelle che hanno bisogno di chiarezza, stabilità, conferme.
Quelle che sperano che “prima o poi” qualcosa accada davvero.
Ma quel “prima o poi” diventa il loro modo di restare fermi.
Come si spezza il ciclo?
Il primo passo è vedere il meccanismo dell’ambiguità digitale.
Capire che non si tratta di vera comunicazione, ma di una dinamica ambigua.
Una zona grigia dove l’altro non ti parla, ma tu finisci comunque per ascoltare.
Poi serve una scelta consapevole:
- Non reagire più.
- Non cercare segnali dove non c’è un messaggio chiaro.
- Non dare valore a chi non te ne dà in modo esplicito.
- Non interpretare. Non aspettare. Non controllare.
In conclusione…
Un like non è un messaggio.
Una visualizzazione non è interesse.
Una presenza silenziosa non è amore.
Se qualcuno vuole esserci, lo fa davvero.
Con parole, con gesti, con presenza chiara.
Tutto il resto sono solo briciole digitali,
lasciate lungo un sentiero che non porta da nessuna parte.
Per consulenze Dott.ssa Cristina Borghetti Psicologa